La semplicità disarmante di Bertilla, la sua umiltà straordinaria, la capacità di dono totale, hanno fatto sì che questa piccola luce si facesse spazio dentro di me, senza la pretesa di essere capita immediatamente
di Suor Emanuela Abriani
Quello con Santa Bertilla non è stato un colpo di fulmine, tutt’altro. Ho imparato a fare esperienza di lei piano piano, proprio come accade con un amico. Avevo 11 anni quando, per la prima volta, ho avuto l’occasione di conoscerla. Da subito ho percepito che non era una santa qualunque, di quelle solite che ti vengono presentate al catechismo, con vite apparentemente noiose fatte di sofferenza, rinuncia, come se essere santi comportasse necessariamente essere infelici. In lei invece c’era qualcosa che mi attirava, che mi interpellava, che mi chiedeva di liberarmi dal timore di mettermi in ascolto della sua vita. La sua semplicità disarmante, la sua umiltà straordinaria, la capacità di dono totale, hanno fatto sì che questa piccola luce si facesse spazio dentro di me, senza la pretesa di es-sere capita immediatamente. In fondo questa piccola suora stava rivoluzionando in me il concetto di cosa significava essere felice chiedendomi di rivedere la mia vita, le priorità, le motivazioni che facevano sì che scegliessi una cosa piuttosto che un’altra.
Bertilla è la santa felice per eccellenza che, raggiunta la pienezza della vita, non poteva fare altro che riversarla sugli altri. Niente di straordinario, di eclatante, di miracolistico, di pretesa di riconoscimento, ma solo amore verso il prossimo. “Cosa, Bertilla, ti dava la forza di agire così? Perché a uno sgarbo rispondevi con il sorriso, a una parola detta male tacevi, di fronte alle accuse non ti difendevi?” Più volte nel dialogo con lei le ponevo queste domande desiderosa di scoprire quale fosse la chiave di accesso. La sua risposta semplice ma precisa risuonava in me: “facciamo tutto per il Signo-re”, “lasciamo fare al Signore”, “io vado per la via dei carri”. Il segreto era proprio quel profondo rapporto con il Padre che Bertilla custodiva gelosamente, certo non fine a se stesso con il rischio di diventare pietà sterile, devozionismo ripugnante, ma desiderosa di “contagiare” tutti con la forza dell’Amore. La bellezza di essere cristiana, di seguire il Signore e di non vergognarmi di questo l’ho imparata dalle persone semplici, dalla mia famiglia e da questa santa straordinaria.
La sua vita si è fatta teologia, Eucaristia…. La forza rivoluzionaria dell’Amore, che lei stessa ha testimoniato, scardina la certezza o la pretesa che per essere qualcuno si debba necessariamente essere riconosciuti, applauditi, sperando che il solo nostro sapere sia quel trampolino di lancio che ci rende visibili. In Bertilla niente di tutto ciò, non perdeva tempo a rincorrere gratificazioni momentanee pronte a sparire lasciando un triste vuoto, ma solo desiderio di bene, del vero Bene! Bertilla è la stella luminosa che mi ha accompagnato in tutta la mia vita: dal-le piccole/grandi scelte, al tempo della malattia e della prova, fino ad oggi, chiamata a testimoniare e a far conoscere questa suora che non ha esitato a giocarsi per il Signore scoprendo in Lui la vera Gioia. Sono grata a Lei per avermi voluta qui, in questa casa, che da ospedale è stata trasformata in “Oasi” pronta ad accogliere bambini, giovani e adulti che ogni giorno si sentono attratti dalla semplicità e dalla bellezza di questa donna.
E allora sono proprio d’accordo con León Bloy quando dice che nella vita «non c’è che una tristezza… quella di non essere santi».
Articolo tratto da Percorsi di Luce n° 3 – settembre 2021 (pp. 14-15)