Una carezza di Dio per i vivi e per i morti

Lampedusa, 14 aprile 2024

Alle 19.45 del giorno 10 aprile  c.m. arriva questo comunicato: alle 20.30 arriveranno 25 persone al Molo Favarolo, sono sopravvissuti a un naufragio!

Ero appena tornata dalla celebrazione della Santa Messa, carica di serenità spirituale. In fretta indosso i vestiti usuali per la missione al molo e corro! Immaginando la situazione che mi sarei trovata davanti. Corriamo come di solito, portando vestiti, tè caldo e quant’altro ci può essere di aiuto per sollevare i fratelli naufragati ( e…per grazia di Dio, salvati dalla Guardia Costiera).

Arrivati al molo, si nota una strana concitazione. Il vento soffia terribilmente. È molto freddo. Il mio passo è incerto, temendo comunque che  mi avrebbero chiesto di non oltrepassare la linea di confine che spetta a noi volontari. Non è così.

Mi avvicino sempre più e speditamente al punto esatto dove ferma la motovedetta della Guardia Costiera. Nessun fratello migrante sbarca. Perché? Che strano!

Suggerisco ai giovani del gruppo Mediterranean Hope (instancabili) di iniziare a versare il tè caldo per raffreddarsi un po’ e per assicurarci che tutti possano berne almeno un sorso. Non intravvediamo ancora nessuno. Il cuore comincia a battere e l’ansia ci assale. Oltrepassiamo ancora la nostra linea di confine non più timidamente.

 Ecco! Uno scenario orribile e disumano si presenta ai nostri occhi!

I membri dell’equipaggio della Guardia Costiera cominciano faticosamente a sollevare ad uno ad uno i fratelli migranti sopravvissuti al naufragio e posizionarli sull’asfalto del molo. Che impressione! Sembrano  manichini!

Nulla si muove di loro: né testa, né braccia, né gambe. Inizia una corsa inarrestabile per recuperare il più possibile coperte di qualsiasi genere. Tutti colpiti da ipotermia. Che scenario disumano!

Sono scioccati, tremanti, deliranti, ustionati. Non si perde un secondo di tempo. Ci sono vite da salvare. Alla corsa per le coperte segue la corsa di barelle, carrozzine e un via vai di ambulanze per trasportare i malati gravi al Poliambulatorio di Lampedusa.

Un giovane ivoriano è particolarmente grave; lo rianimano per circa 40 minuti. Non ce la fa.

Completato faticosamente e…tristemente il soccorso ai superstiti, un altro terribile scenario è davanti a noi. Comincia il prelevamento dei cadaveri. Tra questi una bambina di 9/10 anni. Assisto attonita e senza fiato a questa operazione di sollevamento e di riposizione dei corpi in sacchi neri lunghi, con cerniere di apertura per eventuali riconoscimenti da parte di parenti, che… forse viaggiavano sulla stessa barca della morte.

In un batter d’occhio le due Agenzie funebri, con l’aiuto di alcuni presenti cominciano l’operazione della riposizione nelle bare. Otto fratelli migranti, morti! Poi nove!

Un silenzio cupo avvolge il molo come non mai. Si ode solo il vento e il rumore delle onde sempre più alte. Non c’è tempo per pensare a sé stessi, a coprirsi, a ripararsi dal vento e dal freddo. Si corre, si guarda, si piange e si prega, accarezzando tutti: vivi e morti. Sì. La carezza di Dio ha raggiunto tutti.

È mezzanotte! Pensiamo sia bene fare visita ai fratelli gravi portati al Poliambulatorio.

Ci interessiamo di loro e assicuriamo la nostra disponibilità per ogni necessità che si venisse a creare.

Si può immaginare il nostro stato d’animo!  Un cuore distrutto alla vista di tanto dolore!

Una serata da mozzafiato! Un dolore immenso!

E come non pensare a quelle mamme (impotenti) che hanno visto cadere in mare i loro figli?

Come stare vicino a loro? Come poterle riabbracciare?

All’indomani ci si dà appuntamento per riuscire a trovare insieme una risposta a questi interrogativi  struggenti.

Ci portiamo al Centro di Accoglienza per fare qualche tentativo di potervi accedere e manifestare così la nostra vicinanza ai fratelli soccorsi, toccati con le nostre mani, sostenuti con il nostro amore, accarezzati per far sentire il nostro calore umano.

Inutili tentativi! Inutili le lunghe attese all’esterno dei cancelli dell’Hotspot! Nessuno si degna di interloquire con noi.

Ci resta un vuoto incolmabile nel cuore. Avremmo desiderato ancora una volta far sentire a quelle mamme  la carezza di Dio! 

Suor Angela Cimino fsscc