Omelia di Mons. Giuseppe Rizzo

MEMORIA LITURGICA DI S. MARIA BERTILLA BOSCARDIN SUORA MAESTRA DI S. DOROTEA FIGLIA DEI  SACRI CUORI

20  ottobre 2021 – ANNO  CENTENARIO DELLA MORTE  DELLA  SANTA  RELIGIOSA INFERMIERA

  1. Carissimi fratelli e sorelle, a noi tutti qui giunti in un pellegrinaggio del cuore nei luoghi della vita e della santa morte di S. Maria Bertilla conceda il Signore la grazia di attingere alla sua benedetta memoria e di ottenere dalla sua fraterna intercessione l’obbedienza alla vita in cui il Signore ci ha posti, sostenuti dal suo santo esempio.

Domenica scorsa, nel Tempio di S. Nicolò il vescovo Michele attorniato dai presbiteri, dai diaconi, dai religiosi, dai seminaristi e da una significativa rappresentanza dei fedeli della Chiesa tarvisina ha solennemente aperto il Sinodo del popolo di Dio; evento che coinvolge la Chiesa universale attraverso  il Sinodo dei Vescovi; ma contemporaneamente impegna anche la Chiesa italiana, la quale con la  funzione di apertura, avviata in tutte le diocesi, entra fiduciosamente in un percorso sinodale, che durerà più anni  e si misurerà su tre obiettivi indicati dal Papa: comunione, partecipazione, missione.

Il contesto spirituale di questa nostra intensa celebrazione, nel giorno esatto della santa morte di Suor Bertilla, è il mese missionario, il quale rappresenta una cornice importante: ci collega ad una tradizione di preghiera, rimette al centro   la missione, ma ne allarga gli spazi e ne amplia gli orizzonti; moltiplica i protagonisti, rinnova i linguaggi, chiama tutti a raccolta: ci viene proposta quasi  una nuova chiamata, una nuova esperienza di Chiesa.

Ebbene, domenica, nella suggestiva celebrazione appena ricordata, uno dei momenti più affascinanti e partecipati è stato il canto delle <Litanie dei Santi > della Chiesa cattolica e della Chiesa tarvisina. Sono stati cantati nomi cari alla nostra fede, compagni meravigliosi della nostra vita e intercessori fraterni: uomini e donne, figli o apostoli di questa Chiesa, vicini o lontani nel tempo… ma sempre presenti, custodi posti da Dio a nostra difesa e speranza.

Sono comparsi anche nomi di santi e martiri che, qualche decennio fa, qualche incauto o sprovveduto storico aveva cancellato dall’elenco: i martiri Teonisto, Tabra e Tabrata, Fiorenzo e Vendemiale; i confessori della fede Eliodoro, Parisio, Venanzio Fortunato…e, fattasi la rosa dei santi più ampia, anche un adolescente, appena entrato nell’albo dei beati: Carlo Acutis.

E fra loro, certo, S. Maria Bertilla, salutata come “umilissima testimone della piccola via della carità”.  Così ho pregato e goduto le litanie dei santi della mia Chiesa, felice di stare nella compagnia gioiosa di tante sorelle e tanti fratelli. Perché non riesco mai a pensare una santa o un santo isolatamente. Penso a Maria Bertilla, e penso al padre della sua vocazione, Giovanni Antonio Farina. Li lega una data: il 1888 che fu per il santo Fondatore l’anno della morte, ma per la sua santa figlia l’anno della nascita. Ma lo stesso anno 1888 richiama il ricordo della piccola Teresa di Lisieux che entra nel Carmelo; e nello stesso anno muore S. Giovanni Bosco; e Charles de Foucauld convertito parte per Nazareth, prima tappa del suo esodo…

E potremmo continuare, perché ogni santa, ogni santo, come ogni stella, sta dentro una costellazione, vi ha il suo posto e il suo nome. Ma, a sua volta, ogni costellazione è parte di una galassia…e le galassie sono senza numero. Gli astronomi, che hanno sondato con nuovi strepitosi strumenti gli spazi interstellari finora inaccessibili, ipotizzano che si possano contare tra i cento e i trecento miliardi di galassie…Ma anche i santi sono senza numero, come dice l’Apocalisse:

“Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello».(  7, 9-10).

 

  1. Per questo, pensando ai cento anni dalla morte della nostra santa, non posso non pensare ai santi e le sante che vivevano attorno a lei, con lei, nel suo tempo, negli stessi luoghi. Certo, il vescovo beato, Andrea Giacinto Longhin…Ma qui vicino, a S. Maria Maggiore, viveva negli anni di Bertilla il servo di Dio fratel Righetto Cionchi religioso somasco, per quarant’anni sacrestano della basilica, il quale da bambino aveva avuto la visione della Vergine. Morì poco dopo Maria Bertilla, nel 1923.

E il servo di Dio fra’ Girolamo M. Biasi, francescano conventuale, amico di S. Massimiliano Kolbe, morto di tisi a 31 anni, a Camposampiero, più volte portato a Treviso per visite mediche.

Pochi anni prima che suor Maria Bertilla giungesse a Treviso, un’altra grande santa era vissuta per alcuni anni nella nostra diocesi, S. Giuseppina Bakitha,  la povera schiava africana, venduta, comprata, rivenduta…e poi liberata da Dio che l’ha fatta sua sposa nella consacrazione fra le Suore Canossiane. Essa abitò per anni a Zianigo, parrocchia della nostra diocesi, presso una famiglia del luogo.

 I santi sono l’argomento infallibile e convincente di Dio perché sono immensamente vicini, umanissimi, anzi custodi e profeti di una forma umana che ci convince e che noi abbiamo smarrito o rifiutato, riducendola spesso alle nostre abitudini o al nostro carattere…ma essi sono anche collocati in una distanza che non è più umana, ma divina, salvifica e perennemente fraterna.

Prestiamo un piccolo omaggio a Dante che nella Divina Commedia ci dona una immagine sublime della celeste comunione dei santi, la candida rosa che fa corona alla Vergine Maria:

In forma dunque di candida rosa mi si mostrava la milizia santa che nel suo sangue Cristo fece sposa. (Paradiso XXXI, 1-3)

 

  1. Il mese di ottobre, il mese missionario, ci propone un festoso corteo di sante, donne meravigliose, onore dell’umanità e della Chiesa: S. Teresina di Gesù bambino e del Volto santo; S. Teresa d’Avila, mistica, riformatrice del Carmelo; S. Edvige, duchessa di Slesia, ma regina della carità; S. Margherita Maria Alacoque, apostola del Cuore di Cristo; e S. Maria Bertilla…

Le missioni, e quindi il mese missionario, hanno come patrona una giovane monaca carmelitana, morta a 24 anni, mai uscita dal suo monastero, ma che seppe lanciare la sua anima, e la sua passione missionaria fino ai confini del mondo.

E Maria Bertilla fu una santa missionaria? Voglio leggere la sua vita come una vita missionaria. I missionari partono, vanno lontano…Maria Bertilla non è partita per le missioni, ha fatto piccoli viaggi…ma viaggi che l’hanno portata lontano…dove l’attendeva il Signore.

 

3.1. Un giorno Anna Francesca partì da casa, con il cuore stretto dalla preoccupazione per ciò che lasciava, mamma papà, fratello, la precarietà, la povertà, ma anche le amiche, i luoghi del cuore…la famiglia, che fino ad allora aveva pesato anche sulle sue fragili spalle. E andava a Vicenza, preceduta da una chiamata misteriosa, per mettersi nelle mani chi l’avrebbe preparata alla sua nuova vita. Possiamo dire che per lei fu come il viaggio di Abramo:

“Il Signore disse ad Abram: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò…e io ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione” (Genesi 12, 1-2).
Se non ci si abbandona al viaggio di Abramo, il primo viaggio, non si va in nessun luogo, si vaga inutilmente, non si diventa benedizione ma si spegne ogni benedizione.

 

3.2.  Negli anni di formazione a Vicenza, Anna dovette intraprendere un altro viaggio, un viaggio interiore, nelle profondità della propria anima, incontro al Cuore di Gesù e di Maria. Dovette abbandonare per strada tutti gli inutili bagagli che anche i viaggiatori più poveri portano con sé, e che credono indispensabili. Imparò che si vive di ciò che riceviamo in dono e di ciò che riusciamo a donare a Dio e agli altri.

Nel suo secondo nome, Francesca, essa portava il sigillo francescano, quasi un destino celeste, la rivelazione della beata letizia di scoprire il segreto del nulla e del Tutto, come suonano le sue ultime parole confidate sul letto di morte alla sua superiora:

“Tutto è niente, tutto è niente, tutto è niente…”

Possiamo dire che questo fu il viaggio delle beatitudini, durante il quale Anna, divenuta Suor Maria Bertilla, scoprì e abbracciò la propria beatitudine, intonando il suo cantico di amore al Signore.

3.3. Venne poi il viaggio della maturità, cioè della responsabilità, quando approdò a Treviso, destinata all’Ospedale di S. Maria dei Battuti, dove stiamo celebrando, dove anche il mio papà, giovanissimo infermiere, aveva cominciato a lavorare. Letto con occhi umani questo viaggio sembra in balìa degli altri, delle superiore e del personale ospedaliero e Bertilla vi può apparire come un burattino inerte. In realtà essa possedeva il principio supremo della libertà: “Faccio tutto per amore”, scrive, e per questo viaggiava sicura sotto la guida di Gesù: nessuno se ne era forse accorto, ma essa era la protagonista di un viaggio divino: aveva intrapreso il viaggio del samaritano.

Come l’uomo della parabola essa si era caricata, sulle spalle e nell’anima, tutti coloro che incontrava sulla sua strada. E poteva scrivere,

“A Dio tutta la gloria, agli altri tutta la gioia, a me il sacrificio…”

Ella scendeva tutta le mattine da Gerusalemme, dall’incontro con il Signore nell’Eucaristia, e si avviava alla città di Gerico, la città della gente: varcava la porta del reparto, della lavanderia o della  cucina e trovava il mondo dei malati, dei loro familiari, degli infermieri e infermiere, dei medici, e per strada raccoglieva tutti coloro che erano feriti nel corpo e nell’anima, non diceva mai di no.

 

3.4. E questo fino al tempo del suo ultimo viaggio che si concluse proprio il 20 ottobre di cento anni fa: fu il viaggio di Elia.  Fu deserto e fu oasi, fu solitudine e fu compagnia degli angeli, fu silenzio e fu Parola, fu fatica e, finalmente, fu riposo. Maria Bertilla incontrò il suo Signore e poté dirgli: <<Io ti conosco, ti ho già incontrato mille volte, anche se mi apparivi sotto sembianze diverse: nel volto dei malati più poveri, dei soldati feriti e privati della loro giovinezza, nei bambini colpiti dalla difterite, nei volti e nella fraternità delle mie consorelle>>.

<<Ti ho cervato tutta la vita, e ora ti ho trovato e comprendo che il mio paradiso era già cominciato sulla terra, perché stavo con te. Sono salita sul Calvario insieme con te e con i miei fratelli e sorelle: un viaggio così duro nessuno lo fa da solo. Tu camminavi davanti a me. Io pensavo che fosse solo Calvario, ma era il monte della Trasfigurazione, era l’Oreb della visione, dove tu fai salire i tuoi profeti. E io sono stata nelle tue mani una profezia di amore, di pazienza di speranza. E tu hai mantenuto la promessa: hai fatto di me una benedizione>>.

 

  1. Carissime Sorelle, custodi dell’Oasi, carissime sorelle e fratelli, chiudo questa mia fraterna riflessione tornando sul brano della Lettera ai Corinzi che abbiamo ascoltato, ancora una volta colpiti dalla forza di quelle parole, dalla bellezza e santità che esse aprono. Ma voglio dirvi che manca un versetto alla pienezza e verità di questo brano: appartiene al capitolo 13 ma è stato spostato, diventando il primo versetto del capitolo 14.  In esso leggiamo: “Aspirate alla carità”.  Ma un biblista dei nostri giorni, meglio interpretando il verbo greco, ha tradotto

”Inseguite l’Amore!”.

Immaginiamo che Bertilla dica a noi stamattina, prendendo il posto di Paolo: <<Inseguite l’Amore!>>. Non tiratevi indietro nella fedeltà alla vostra vita… Non accontentatevi di un passo lento e stanco…Se vivrete tutto con amore troverete il senso di tutto. E capirete ciò che sfugge alla maggior parte della gente, anche di tanti cristiani.

S.Maria Bertilla, sii per noi benedizione e promessa di Dio!

Omelia di Mons. Giuseppe Rizzo
(Cappella dell’Oasi di S. M. Bertilla  nell’Università degli  studi di  Treviso)