Omelia di Mons. Beniamino Pizziol – 20 ottobre 2021

CENTENARIO DELLA MORTE (DELLA NASCITA AL CIELO) DI SANTA BERTILLA (1922-2022)

(Cappella S. Bertilla-VI, mercoledì 20 ottobre 2021, h.18.00)

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Saluto i fedeli qui presenti e quelli che partecipano mediante Radio Oreb, il Canale You Tube della Diocesi e attraverso Telechiara.

Un saluto ai sacerdoti, al coordinatore della Pastorale della diocesi di Treviso, ai diaconi, ai consacrati/e.

Un saluto ai Sindaci di Vicenza e di Brendola, alle autorità qui presenti.

Un saluto speciale alle care Suore Maestre di S. Dorotea, Figli dei Sacri Cuori, insieme alla Fraternità secolare, al Movimento Eucaristico, ai Collaboratori laici e agli amici.

Oggi iniziamo, dentro il cammino sinodale della Chiesa italiana, un percorso spirituale interdiocesano (Vicenza e Treviso), fatto di memoria grata e di lode riconoscente al Signore per i 100 anni dal “dies natalis” di Santa Bertilla.

Nella raccolta dei testi agiografici e delle omelie sulla Santa Vicentina emergono, soprattutto, i tratti ascetico-personali-caritativi della sua vita terrena, che si è compiuta in soli 34 anni (1888-1922).

Senza far torto a nessuno mi permetto di ricordare l’omelia del Beato Papa Giovanni Paolo I, Papa Luciani, in occasione della celebrazione conclusiva per il 50° anniversario della morte di Santa Bertilla, a Treviso, il 30 aprile del 1972, mentre era Patriarca di Venezia. (nel mese di dicembre di quell’anno ho ricevuto l’ordinazione presbiterale dalle mani del Patriarca Albino Luciani)

Tutti i biografi di Santa Bertilla ricordano l’umiltà delle sue origini a Brendola, una delle numerose parrocchie della Diocesi di Vicenza, le difficoltà nella vita familiare, l’ingresso nella Congregazione delle Suore Maestre di Santa Dorotea, all’età di diciassette anni, l’esperienza come novizia presso l’Ospedale di Treviso, dove svolge inizialmente umili servizi in cucina, e poi viene assegnata in corsia fra i malati di ogni genere, dove – giorno dopo giorno – esprime una carità eroica e tesse la trama dei suoi giorni, da cui emerge la sua santità.

Ma leggendo uno scritto del padre carmelitano, Antonio Maria Sicari, nel volume “Ritratti dei Santi”, mi sono imbattuto in questa espressione che mi ha aperto uno sguardo nuovo su questa nostra Santa:

Bertilla toccava, senza nemmeno sospettarlo, le vette cui erano giunti solo i più alti mistici”.

I riferimenti sono a San Francesco di Assisi, Santa Caterina da Siena, Santa Teresa d’Avila, Santa Teresa del Bambino Gesù, sua contemporanea. Non quindi da annoverare tra i santi, cosiddetti sociali, dell’ottocento e degli inizi del Novecento, ma tra i grandi mistici della storia della Chiesa. E cos’è l’esperienza mistica se non vivere in una totale e profonda comunione con Dio, con Cristo, nella vita ordinaria di ogni giorno, anche quando Bertilla viene considerata “buona solo per la cucina” e finirà tra stoviglie, secchiaio e fornelli. È proprio Santa Teresa d’Avila a dire: “la mistica ha a che fare con i fornelli”.

Bertilla era arrivata a sperimentare il tutto di Dio e così prendere coscienza del nulla della creatura. Era davvero convinta di essere il “niente” e che altre sorelle – istruite e capaci – fossero tutte migliori di lei e avessero tutte diritto alle sue premure e ai suoi servizi.

Bertilla sapeva vedere Gesù in ogni persona e guardava ogni persona con lo sguardo di Gesù. Quando si sparse la voce per l’ospedale di Treviso che Suor Bertilla, stava per morire nella sua stanzetta, fu subito un accorrere di primari, medici e infermieri. Qualcuno piangeva a vederla soffrire con tanta mitezza e lei cercava di consolarli con queste parole:

Non dovete piangere, se vogliamo vedere Gesù, bisogna morire, io sono contenta”.

Contenta di vedere Gesù faccia a faccia, come la sposa il suo sposo, dopo averlo contemplato in tante persone piagate e sofferenti. Fin da piccola aveva sentito questa profonda vicinanza a Gesù, scoppiando in pianto mentre sentiva il racconto della sua passione, esclamando: “come sono cattivi gli uomini”. Assai significative ed emblematiche sono le parole pronunciate verso la conclusione della sua vita terrena, parole che chiedono di essere ulteriormente approfondite e comprese, parole con cui è intitolato un libro sulla nostra Santa Bertilla: “Tutto è niente”. Ma è opportuno riportarle per intero e in dialetto, come era solita esprimersi:

La ghe diga alle sorele – rivolta alla madre generale – che le lavora solo par el Signor, che tutto xe gnente, che tutto xe gnente”.

Come non sentire in queste sintetiche e strabilianti parole un eco di quella strofa che fu trovata, dopo la morte di Santa Teresa d’Avila, nel suo breviario (1582): “Niente ti turbi, niente ti spaventi, a colui che ha Dio, non manca nulla.

Niente ti turbi, niente ti spaventi, solo Dio basta (solo Dios basta)”. Come non ricordare l’altra grande espressione di Santa Teresa del Bambino Gesù: “Tutto è grazia”. Parole con cui il grande scrittore Bernanos conclude il romanzo “Diario di un curato di campagna”. Così si esprimeva Papa Pio XII, nell’omelia per la beatificazione di Suor Bertilla, nel 1952: “Figura purissima di perfezione cristiana, modello di raccoglimento e di preghiera…la sua strada la via dei carri…la più comune”.

Non estasi, non miracoli in vita, ma una unione con Dio sempre più profonda nel silenzio, nel lavoro, nella preghiera, nell’obbedienza. Da quella unione con Dio veniva la squisita carità che ella dimostrava ai malati, ai medici, ai superiori, a tutti.

Cosa può insegnare oggi agli uomini e donne del nostro tempo? Ai giovani e agli anziani? Alle persone impegnate nella Chiesa e nella società civile? A noi che abbiamo così polarizzato l’attenzione sul singolo individuo, sui suoi diritti individuali, con il rischio di fare di ciascuno di noi “un mondo a sé stante, esclusivo”, fino a rasentare un “individualismo esasperato”. Come suonano stridenti queste parole di Suor Bertilla per ciascuno di noi:

Io non ho niente di mio proprio, tranne la mia volontà…e io, con la grazia di Gesù, sono pronta e risoluta, ad ogni costo, a non voler mai fare la mia volontà, e tutto questo per puro amore di Gesù…”.

Il dotto Zuccardi Merli (un libero pensatore e massone…) l’osservava morire e si sentiva cambiare il cuore: “Posso affermare – testimoniò – che l’alba della mia modificazione spirituale data dalla visione che ebbi di Suor Bertilla mentre stava per morire. Per lei infatti, alla quale baciai la mano poco prima che spirasse, il morire fu gioia visibilissima a tutti. Morì così come nessun altro io vidi morire, come chi è già in uno stato migliore di vita…  Oppressa da un male dolorosissimo, dissanguata, sicura di dover morire, in quello stato in cui ordinariamente il malato si aggrappa al medico e chiede: “salvami”, udirla pronunciare con un sorriso quale io non so descrivere: “Siate contente, sorelle, io vado presso il mio Dio”, fu cosa…che mi suggerì una specie di autocritica e che ora riguardo come il primo miracolo di Suor Bertilla. Io dissi infatti tra me: “Questa creatura è come fuori di noi, pur essendo viva. C’è in lei una parte materiale, quella che resta tra noi, che ringrazia, che conforta i circostanti; ma c’è anche una parte spirituale al di fuori,

al di sopra di noi, ben più evidente e dominante: la parte spirituale che già gode di quella felicità che fu il sospiro della sua vita”.

Si sente in queste parole, apparentemente difficili e complicate, il razionalista messo davanti all’evidenza del soprannaturale; colui che ha sempre negato l’anima e che è costretto quasi a vederla, mentre Dio la riprende con sé e trasale di gioia, e il copro si abbandona.

Così l’umile suorina, che avevano sempre definita “un povero oco”, trascinava con sé, nella sua fede, quell’intellettuale orgoglioso della sua scienza e del suo libero pensiero. Lei che moriva avendo nella tasca dell’abito il suo logoro catechismo e che era solita dire: “Io sono una povera ignorante, ma credo tutto quello che crede la Chiesa”.

Voglio concludere con alcune note che Suor Bertilla scrisse nel suo quadernetto, tutte intrise di affetto per la Vergine Santa, come se ella si sentisse ancora al tempo in cui bambina si era rifugiata con la mamma nel portico del Santuario di Monte Berico:

O Madonna cara, io non ti chiedo visioni, né rivelazioni, né gusti, né piaceri, se non ciò che volesti tu nel mondo: credere puramente, senza vedere, o gustare, soffrire con gioia…lavorare assai per te, fino alla morte”. Amen!

(Omelia di Mons. Beniamino Pizziol, Vescovo di Vicenza)

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